Critica

Prof. Paolo Giansiracusa,
Ordinario Storia dell’Arte all’Accademia delle Belle Arti di Catania

24.10.1984

“L’opera pittorica di Pippo Betta si inserisce in quella linea di riduzione che nel’arte contemporanea caratterizza il filone della “formalità”. La riduzione formale di Betta è ottenuta attraverso alcuni processi di semplificazione che riguardano sia le grandi che le piccole componenti del quadro secondo il seguente ordine schematico: la luce, il colore, il segno, il volume e l’impostazione spaziale.

La luce di Betta non ha orientamento ed è unita al colore con campiture piatte. Tale procedimento prende spunto dalla pittura dei macchiaioli italiani, ma viene aggiornato con la lezione dei maggiori esponenti del filone della cromaticità: i neoplastici. Come i neoplastici Betta distribuisce la luce senza generare zone accese o spente, evitando in tal modo di dare origine a valori chiaroscurali.

Il colore è disteso sempre per campiture omogenee: non viene usato per ottenere rapporti tonali, anzi viene trattato in modo da divenire materia, crosta intimamente legata al supporto telare di fondo, che non risulta annullato, ma viene adottato come reticolo attorno al quale far depositare e condensare la materia cromatica. Dove il reticolo telare si meno presente, a causa dello spessore considerevole della crosta pittorica, Betta realizza increspature raschiando, graffiando, patinando; compiendo insomma ogni manipolazione che possa servire ad eliminare l’uniformità coloristica.

Al segno spesso e deciso, Betta affida il compito di raccogliere e definire i piani colorati, le immagini, le forme. Sia nelle opere giovanili che in quelle della maturità il segno è volutamente sintetico, non concede alcun dettaglio, non analizza alcun particolare ma solca in maniere tagliente i piani, contornandoli. Al segno, come linea di passaggio volumetrico, è affidato lo stesso compito che nella pittura tradizionale avevano le sfumature. Nella pittura tradizionale le sfumature creavano il passaggio dal vuoto al pieno, dallo spazio alla forma; indagavano in maniera lenta ed insinuante tutti i particolari precisando la descrizione. Nella pittura di Betta il segno che si sostituisce alla sfumatura è immediato, nega la luce ed i rapporti tonali, divide i piani e genera le forme che vengono modellate secondo volumi puri.

I volumi racchiudono case di Ortigia, barconi a secco, vasi di fiori, chiese e palazzi schierati senza alcun ordine urbanistico ma secondo un ritmo cromatico che elimina i ricordi della conoscenza ed ogni codice stilistico che possa servire al riconoscimento ed alla identificazione dell’architettura. Da ciò si evince che lo scopo della pittura di Betta non è quello di descrivere o raccontare, ma quello di costruire nuove immagini che servano a prolungare il panorama della creazione. La creazione di tali immagini non avviene attraverso i metodi tradizionali della rappresentazione prospettica o assonometrica, ma tramite una impostazione geometrica volutamente deformata ottenuta con la sovrapposizione di piani colorati. Non si può parlare quindi di punti di vista, né di telai prospettici ma di strutture geometriche basate sulla spontaneità compositiva.

La spontaneità, unita alla semplicità della riduzione cromatico - segnica costituisce d’altra parte l’elemento caratterizzante della pittura di Pippo Betta.

Osservando alcune opere, o analizzando certe campionature colorate oppure il ritmo armonico dei segni curvi e retti, l’appiattimento dei volumi, i temi ricorrenti (case, chiese, fiori, barche…) e la compiacenza per il trattamento materico delle superfici colorate, si evince che la pittura di Betta non è lontana dalla lezione del Gentilini, anche se le scelte cromatiche sono del tutto autonome da quest’ultimo. I colori di Betta sono infatti prevalentemente caldi e risentono di certi rapporti tonali offerti dall’aspro territorio siciliano. Anche i cieli ad esempio si lasciano spesso avvolgere da nubi infuocate che potrebbero avere la loro matrice di riferimento nei colori del tramonto sul Porto Grande di Siracusa o anche nelle lingue di fuoco lanciate dal Mongibello in eruzione”




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